Pubblicato il 27 Febbraio 2022 | di Mario Cascone
0Partecipazione da valorizzare
Una parola-chiave del Sinodo promosso da Papa Francesco è “partecipazione”. Chiariamo subito che questo termine non va inteso in senso sociologico, ma teologico. Se venisse usato nel primo senso equivarrebbe a mettere in luce la partecipazione di tutti i cittadini alla “cosa pubblica”, inserita in un contesto di democrazia, ossia letteralmente di “governo del popolo”. Ma la Chiesa non è democratica: essa è comunione gerarchica, in cui tutti i fedeli hanno uguale dignità, ma esercitano differenti ministeri e sono comunque guidati dai Pastori, a cui compete l’assunzione delle decisioni.
Questo non significa che i “Cristifideles” (laici, consacrati o chierici) non debbano partecipare al discernimento in vista delle decisioni da prendere. Al contrario anzi ogni battezzato, in quanto “unto” dallo Spirito Santo e dotato dei suoi doni, è chiamato a dare il suo apporto alla costruzione della Chiesa e alla sua missione. In questa luce la Chiesa è costitutivamente sinodale, nel senso che è chiamata ad ascoltare tutti, ivi compresi coloro che vivono ai margini o fuori del perimetro ecclesiale, e soprattutto i poveri, che spesso non hanno voce in capitolo e che invece vanno valorizzati ed inseriti nel dialogo ecclesiale. Nessuno nella Chiesa è inutile, nessuno può essere escluso. Nella Chiesa c’è posto per tutti e ci deve essere un’attitudine all’ascolto dello Spirito, che parla attraverso la voce di tutti i fedeli.
La partecipazione, perciò, è un diritto-dovere di tutti i battezzati, i quali, nella misura in cui sono chiamati a dare il proprio apporto alla missione della Chiesa, devono anche valorizzare le loro differenze e convogliarle verso la comunione, sotto la guida dello Spirito. In questo processo va superato anche il ricorrente conflitto fra laici e presbiteri, che sfocia non di rado in forme gravi di clericalismo. Alludiamo qui non solo al clericalismo dei preti, che talora pensano di essere gli unici depositari della verità e i “padroni” della Chiesa, ma anche al clericalismo dei laici, i quali spesso ritengono che i loro pastori vadano solo obbediti supinamente, configurandosi così non come sapienti collaboratori, ma come semplice “longa manus” dei presbiteri. Rivolgendosi ai laici la “Gaudium et spes” al n. 43 chiarisce: “Non pensino che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero”.
Un segno evidente della partecipazione di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa sono gli organismi di partecipazione e di corresponsabilità ecclesiale, quali il consiglio pastorale e il consiglio di affari economici. Essi servono proprio a rendere possibile una fruttuosa partecipazione di tutti all’azione pastorale della comunità ecclesiale. Questi organismi vanno valorizzati e potenziati, in quanto rappresentano uno dei frutti più belli dell’ecclesiologia di comunione disegnata dal Concilio Vaticano II.
Il Sinodo vuole essere un’occasione per estendere questa partecipazione anche ai fedeli che non fanno parte di questi organismi di corresponsabilità ecclesiale, promuovendo un ascolto di tutti i battezzati, ma anche dei non credenti e degli aderenti ad altre religioni, che sia in grado di farci comprendere quale idea di Chiesa hanno gli uomini del nostro tempo e come vorrebbero che fosse la Chiesa oggi. Questo indica che la Chiesa è sempre in stato di conversione e di riforma, avendo il coraggio di mettersi in discussione e di accettare anche le critiche o i suggerimenti di tutti per essere sempre più come il Cristo la vuole.