Vita Cristiana

Pubblicato il 27 Novembre 2022 | di Giuseppe La Placa, Vescovo

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FISSANDO GLI OCCHI IN GESU’

Fratelli e sorelle carissimi, nella prima domenica di Avvento la Chiesa celebra il suo “capodanno” liturgico. Inizia, cioè, un nuovo anno per celebrare – non solo nella liturgia, ma soprattutto nella nostra vita – il mistero di Cristo. Un anno da vivere nella fede e nella preghiera, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, Via, Verità e Vita.

L’Avvento, infatti, è il tempo prezioso per incontrare Gesù, accoglierlo e testimoniarlo ai nostri fratelli affinché anch’essi, fortificati dal nostro esempio, dalla nostra preghiera e dalla nostra fede, possano incamminarsi decisamente incontro al Signore che viene.

Vorrei che in queste settimane che precedono il Natale ci guidassero la parola e l’esempio del nostro Santo Patrono Giovanni Battista.

Abitare il silenzio

Giovanni, ci dicono i Vangeli, «visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,8). Come sappiamo, il grande compito del precursore di Gesù è stato quello di preparare a Cristo un popolo ben disposto. Prima di parlare alle folle, però, il Battista sente il bisogno di trascorrere un lungo tempo di preparazione nel deserto. È nel silenzio del deserto, infatti, che matura la sua missione, in una solitudine che non lo isola dal mondo, ma lo pone alla ricerca di Dio, in ascolto di quella Parola che avrebbe annunciato alle folle venute dalla città.

Anche per noi l’Avvento è il tempo prezioso per percorrere la “via del deserto”; il tempo per ritornare a creare spazi di silenzio nel profondo di noi stessi, dove fare abitare Dio. Oggi più che mai. In un tempo in cui il “brusio” verbale rischia di trasformare i rapporti umani in una “babele” relazionale, abbiamo tutti bisogno di imparare il linguaggio di Dio, il solo che rende significative e dense di contenuto le nostre umane parole.

Oggi, se il cristiano vuole parlare al mondo, deve trovare il coraggio di “abitare” il silenzio. Solo allora la sua parola sarà autentica ed efficace.

In questo tempo forte dell’Avvento, carissimi fratelli e sorelle, vorrei proporre a tutti la “sfida del silenzio”: proviamo a trovare dieci minuti al giorno per pregare, pensare, meditare. Per imparare il linguaggio di Dio. Dieci minuti di silenzio per “ascoltare” il Silenzio.

 

Vestirsi di umiltà

«Egli non era la luce» (Gv 1,8). Così il prologo del quarto Vangelo ci presenta il Battista. Giovanni è consapevole che la sua identità è quella di essere un mendicante raggiunto dalla luce. Ma egli non usa la luce per illuminare se stesso: «Comprese – commenta Agostino – di non essere altro che una lucerna e temette che potesse essere spenta dal vento della superbia. Per tale motivo si sforzò, chiedendo aiuto all’Onnipotente, di essere e di rimanere umile» (Disc. 293).

Giovanni, «il più grande fra i nati di donna» (Mt 11,2), la voce potente «che grida nel deserto» (Gv 1,23), è però un uomo umile che vuole “diminuire” per lasciare spazio al Signore. Un uomo forte, che dimostra però di sapersi abbassare, di sapere scendere dalle sue attese.

L’umiltà, carissimi amici, è la strada maestra, la via semplice che siamo chiamati a percorrere per conformarci a Cristo. È Lui stesso che ci indica la strada: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11,29). Gesù – commenta ancora Agostino – «non ci propone d’imitarlo nel fabbricare il mondo, nel creare le cose visibili ed invisibili, nell’operare meraviglie, nel fare miracoli, ma nell’essere umili di cuore» (Disc. 69).

Ma qual è l’umiltà che ci insegna Gesù? È quella del servizio e dell’amore gratuito. Gesù manifesta la sua umiltà lavando i piedi ai suoi discepoli e, ancora di più, sulla croce. Continuando ad annullarsi, a donarsi per amore. L’umiltà è l’altro nome dell’amore. È disponibilità a farsi piccoli, a servire i fratelli. È l’espressione più alta della gratuità: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35).

Carissimi fratelli e sorelle, quando non si entra in questo cammino di umiltà, si percorre la strada dell’arroganza, della superbia, del mettere il proprio “io” al centro del mondo. L’umiltà, invece, è imparare che la nostra grandezza consiste proprio nel farsi piccoli, perché è così che siamo importanti agli occhi di Dio e pienamente corrispondenti al suo progetto d’amore sull’umanità.

Impariamo, in questo tempo di Avvento, a riscoprire la bellezza di un gesto concreto di carità, a impiegare un po’ di tempo nel gratuito servizio, a riservare uno spazio del nostro cuore all’accoglienza del fratello affamato, assetato, nudo, forestiero, ammalato (cfr. Mt 25,35s) che bussa alla porta della nostra vita.

 

“Fissarsi” in Gesù

«Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (Gv 1, 6-8). Giovanni è testimone perché ha fatto esperienza di Dio, perché è stato toccato dalla sua Parola, illuminato dalla sua luce (cfr. 1Gv 1,1). La sua vita è ormai animata da quell’incontro: è voce di una Parola che lo abita, che si è fatta carne in lui. È uno che racconta ciò che ha visto; e ciò che ha visto gli ha cambiato la vita. Racconta “facendo vedere”, anche a chi non ha visto, quello che i suoi occhi hanno contemplato e le sue mani hanno toccato.

Come Giovanni Battista – diceva il Papa emerito – «tutti siamo chiamati, in questo mondo con tante tenebre, tante oscurità, ad essere testimoni della luce… e possiamo esserlo solo se portiamo in noi la luce, se siamo non solo sicuri che la luce c’è, ma che abbiamo visto un po’ di luce» (Omelia di Avvento, 2011).

Questa, carissimi fratelle e sorelle, non è solo la missione di Giovanni, ma è anche la nostra missione: «Contemplata aliis tradere», trasmettere agli altri la nostra esperienza di Dio; parlare di Dio dopo aver parlato con Dio. Solo allora la nostra testimonianza risulterà autentica e, soprattutto, credibile.

Questo, però, suppone che in ciascuno di noi sia sempre vivo il desiderio di crescere nella misura alta della vita cristiana, che è la santità: «Per un cristiano – scrive Papa Francesco – non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità» (Gaudete et Exultate 19).

In questo tempo di Avvento, carissimi amici e fratelli, sforziamoci di avvicinarci alla statura di Cristo (cfr. Ef 4,13), non distogliamo lo sguardo dal volto di Gesù, teniamo lo sguardo fisso al modello cui siamo chiamati a conformarci, a Colui che ci rivela l’amore e la misericordia del Padre suo. La santità è rimanere in Lui, vivere in questa relazione viva con un amore che ci salva, con un Dio che ci viene incontro mentre lo attendiamo.

Il cane e la lepre

Mi piace concludere queste riflessioni con un Apoftegma dei Padri del deserto: «Un monaco ne incontra un altro e gli chiede: perché ci sono tanti che abbandonano la vita monastica? Perché dunque? E l’altro monaco risponde: la vita monastica è come un cane che insegue una lepre. Corre dietro alla lepre abbaiando; molti altri cani, sentendo il suo abbaiare, si uniscono a lui e corrono dietro alla lepre tutti insieme. Ma dopo un po’ tutti i cani che corrono senza vedere la lepre si chiedono: ma dov’è che stiamo andando? Perché corriamo? Si stancano, si perdono e smettono di correre uno dopo l’altro. Solo i cani che vedono la lepre continuano a rincorrerla fino alla fine, fino a quando l’acchiappano». Buon Avvento!

 

 

 

 

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