Politica

Pubblicato il 1 Agosto 2023 | di Vito Piruzza

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Giustizia, democrazia e libertà

La cronaca delle ultime settimane ci consegna l’ennesimo braccio di ferro tra politica e magistratura che mette in tensione le istituzioni e alimenta un dibattito che si fa sempre più acceso.

Già le proposte del governo di riforma della giustizia avevano creato i primi attriti tra questi due poteri dello stato prima che sul merito della riforma sulla pretesa del ministro Nordio che ha dichiarato: «il magistrato non può criticare le leggi»; la frase può essere valida per le leggi già approvate dal Parlamento, ma risulta eccessiva quando si è ancora nella fase del dibattito pubblico su una legge in corso di approvazione.

La querelle è proseguita e si è inasprita ulteriormente a seguito delle vicende Santanchè e Delmastro con accuse di un atteggiamento ostile della magistratura nei confronti del governo anche se per la verità la vicenda Santanchè è partita da un’inchiesta giornalistica di Report.

Insomma sembra di essere tornati indietro di venti anni e ci vorrà tutta la determinazione e l’aplomb istituzionale del nostro amato Presidente per evitare una escalation di cui francamente non si sente il bisogno in un momento delicato come quello che il nostro Paese attraversa e che richiederebbe attenzione a problemi molto più impattanti sulla qualità di vita dei cittadini.

Il problema a mio avviso non sta nel rapporto tra politica e magistratura, ma è molto più profondo (e più grave) e riguarda la qualità della nostra democrazia che non è data dai politici, né dalla magistratura, bensì dalla base democratica.

Cosa chiediamo noi ai nostri rappresentanti? Su che base li giudichiamo? Con quali caratteristiche li selezioniamo? Per carità non portiamola in caciara con il problema della impossibilità di scegliere e delle liste bloccate, in Regione esprimiamo le preferenze e non mi pare che il livello sia migliore.

Il termometro della qualità della nostra democrazia è dato dall’avere avuto la necessità di una legge per stabilire la decadenza dalla carica politica ricoperta di un condannato in via definitiva per reati di una certa importanza…

In Germania una ministra si dimette per avere copiato una tesi di dottorato, in Gran Bretagna un ministro si dimette perché durante il lockdown andava a trovare la fidanzata, l’intero governo entra in crisi perché il Primo Ministro organizzava festicciole durante il Covid mentre ai cittadini vietava di uscire (l’elenco può essere infinito) e in Italia c’è bisogno di una legge per “disarcionare” dalla poltrona un condannato in via definitiva? E possibilmente se si candidasse verrebbe rieletto!

Negli altri Paesi la politica e la magistratura non si scontrano mai perché i cittadini svolgono il loro ruolo di controllo e verifica degli eletti e li delegittimano molto prima che abbiano comportamenti “penalmente rilevanti”, basta che siano “scorretti”; e da noi?

Da noi invece di esercitare la democrazia si fa il “tifo” come per il calcio: il rigore contro la mia squadra è sempre inesistente… ma quello è un gioco, la Democrazia è invece la condizione per vivere in libertà! Veramente la teniamo in così poco conto?


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