Società

Pubblicato il 24 Febbraio 2024 | di Gabriella Chessari

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Un “don” e un oratorio come riferimento

Cosa offre oggi la società ai nostri giovani? Quali valori, quali punti di riferimento? Genitori, insegnanti ed educatori si pongono queste domande a cui spesso non si riescono a dare risposte concrete. In una società dove vige tanta frenesia, i giovani vanno accolti, ascoltati, capiti, amati… perché altrimenti andranno a cercare altrove le risposte alle loro domande sulla vita. Sincerità e coerenza sono le prime condizioni che cercano in una figura di riferimento.

Abbiamo incontrato ed intervistato don Marco Diara, parroco della parrocchia Sacro Cuore di Ragusa, che ha reso la sua parrocchia un “porto sicuro” dove i giovani possono “approdare” e in lui il “don” punto di riferimento.

Quando è nato e come hai sviluppato il tuo rapporto con i giovani e in che modo cerchi di essere una figura di riferimento per loro nella società attuale?

Il mio rapporto con i giovani nasce quando per la prima volta ho letto la vita di don Bosco, prima di entrare in seminario: una vita affascinante che propone un modello di sacerdote, allegro e gioioso, al quale mi sono ispirato. Divenuto sacerdote mi sono occupato, in parrocchia, dei giovani, attraverso l’oratorio che mi ha permesso di passare gran parte del mio tempo in mezzo a loro e quindi l’opportunità di ascoltarli, coinvolgerli nelle attività dell’oratorio e della parrocchia. Mi hanno aiutato in questo non solo le esperienze parrocchiali ma anche quelle diocesane, di Azione cattolica, le giornate della gioventù, gli incontri di spiritualità.

Spesso, nella società attuale i giovani incrociano scelte illusorie, ingannevoli, che li seducono e alla fine li lasciano sconfitti. È il pericolo che corrono e al quale cerco di rimediare ponendomi come figura di riferimento che li accoglie e li ascolta senza pregiudizi e di cui possono fidarsi.

È importante il tipo di testimonianza che noi offriamo come sacerdoti perché essi possano arrivare a vedere il don come una figura di riferimento, che guida i loro passi, che non li giudica e che non è qualcuno di cui bisogna avere un timore reverenziale e che non può capire i loro problemi in quanto “diverso”. Per questo sin dall’inizio ho considerato importante rivolgermi anche ai giovani che non frequentano le strutture parrocchiali, cercando di far capire loro che, se vogliono, possono contare su di me. Ognuno di loro ha alle spalle una storia diversa da raccontare ma ciò che li accomuna è un grande desiderio di bene e di verità.

In che modo coinvolgi i giovani nella tua comunità e come cerchi di mantenerli al sicuro da influenze negative al di fuori di essa?

Sono convinto che è fondamentale fare sentire i ragazzi parte di un gruppo, ho quindi cercato di creare nella mia comunità un gruppo di giovani con i quali trattare argomenti e problematiche legate all’età, cercando di dare un contenuto al loro entusiasmo, educandoli ai valori essenziali, che contano davvero aiutandoli a non piangersi addosso nei momenti di crisi e a sognare una vita bella. Fondamentale è la vita dell’Oratorio, un punto di riferimento, soprattutto per i ragazzi più “difficili”, che più hanno bisogno di essere accolti, educati a stare insieme, ad amare Dio e il prossimo.

In ogni ragazzo c’è un desiderio, a volte inconscio, di dare un senso alla vita, di essere felice, di poter sentirsi parte di qualcosa di grande. Il contesto sociale di oggi tante volte non aiuta i giovani a entrare in contatto con la loro parte più profonda, ma nel momento in cui trovano una proposta credibile, un contesto giovane, dove ci sono altri loro coetanei, allora volentieri si affacciano in quel contesto e non si rivolgono altrove. Qualche anno fa, in maniera assolutamente autonoma, alcuni ragazzi e ragazze che frequentavano l’oratorio un pomeriggio a settimana, hanno preso l’abitudine di cucinare e poi cenare insieme dopo l’incontro.

Un laboratorio di cucina, un modo per i ragazzi di trascorrere in maniera costruttiva il loro tempo, di divertirsi a cucinare, di condividere la fraternità dello stare insieme e perché no, anche uno strumento per imparare a vivere le regole e le responsabilità: i ragazzi, infatti, in autonomia hanno imparato ad assumere un impegno nei confronti degli altri, a dividersi in turni e a darsi dei compiti. Ogni settimana ognuno aveva un ruolo preciso: chi si occupava della spesa, chi di raccogliere i soldi, chi di cucinare, chi di apparecchiare, chi di servire e infine di sparecchiare e di pulire tutti gli attrezzi da cucina. Un gioco, divenuto un appuntamento fisso, aspettato e preparato dai giovani con grande entusiasmo. L’esperienza si è arricchita di valore ed ha cambiato volto quando, sotto la mia spinta, si è deciso di far diventare quel laboratorio uno strumento di servizio per chi nel quartiere viveva in situazioni di disagio e difficoltà. Il laboratorio di cucina si è quindi trasformato in una mensa a favore dei poveri del quartiere. Un’occasione dalla forte valenza educativa: i ragazzi sono stati invitati ad osservare con uno sguardo nuovo la loro realtà territoriale, la loro comunità e a riconoscere che in essa c’erano persone che vivevano situazioni difficili e che ognuno di loro poteva contribuire ad aiutarli e a sostenerli con il proprio impegno e con il proprio tempo. In seguito, il laboratorio ha coinvolto sempre più persone e oggi, quello che era semplicemente un gioco, il divertimento di un gruppo di ragazzi, è divenuta un’attività attorno alla quale ruota e partecipa tutta la comunità parrocchiale.

Puoi condividere un’esperienza in cui hai avuto successo nel guidare un giovane attraverso una situazione difficile e potenzialmente pericolosa?

Sono tante le situazioni difficili in cui mi sono imbattuto nei miei quasi 25 anni di sacerdozio. Ne condivido con voi una. Un ragazzo di buona famiglia che frequentava l’oratorio con assiduità e che all’inizio si manifestava molto timido e rispettoso delle regole, a poco a poco, ha iniziato a dare segnali di irritabilità e ribellione. In alcune occasioni ha deliberatamente danneggiato del materiale presente in oratorio, il suo comportamento è andato via via peggiorando. Ho scoperto che fuori fumava e si ubriacava. A seguito di un suo gesto particolarmente negativo ho contattato i suoi genitori che non hanno risposto. Nel frattempo, ho continuato a tenerlo sotto controllo osservando i suoi comportamenti, pur non essendo invadente. Il nostro rapporto era conflittuale perché lui mi vedeva come un nemico e non come una persona che gli voleva bene e si preoccupava di lui. Nel frattempo ha iniziato a frequentare un gruppo di ragazzi non molto affidabili che lo stavano portando in una brutta strada, dove le situazioni pericolose erano all’ordine del giorno. I genitori, finalmente, dopo aver saputo di questa situazione mi cercano e da lì iniziamo insieme un percorso di recupero.

Dopo un dialogo vero e sincero con il ragazzo, lui si è aperto manifestando i suoi disagi e le sue fragilità ed ha compreso che io non ero suo nemico ma una persona che lo amava senza giudicarlo. Ho cercato di coinvolgerlo in alcune attività dell’oratorio, facendolo diventare organizzatore e responsabile di un torneo di calcio. Il suo comportamento è iniziato a cambiare, ha abbandonato le vecchie amicizie ed è diventato uno dei miei più stretti collaboratori dell’oratorio. Da questa esperienza ho compreso che è fondamentale la comunicazione, la possibilità di una intesa fatta di parole e non solo, di vicinanza e visibilità, di sintonia che matura sempre più attorno a valori e ideali precisi. È importante non abbandonare i ragazzi ma aiutarli a custodire ciò che hanno ricevuto, prepararli affinché abbiano radici forti, far comprendere loro quali siano le priorità nella loro vita.

Quali risorse e supporti ritieni essenziali per continuare ad essere un punto di riferimento positivo e protettivo per i giovani nella tua comunità?

Una risorsa indispensabile ed insostituibile è senz’altro la realtà dell’oratorio parrocchiale che dobbiamo continuamente coltivare, perché sono le esperienze vissute insieme che creano la familiarità dentro cui un adolescente si può aprire e può confidarti e affidarti alcune parti della sua vita. L’accompagnamento per gli adolescenti non ha una forma strutturata come può essere per i giovani, è più una vicinanza di vita e una condivisione di ciò che avviene sul momento naturalmente i ragazzi all’interno dell’oratorio devono avere a loro disposizione non solo persone ma anche risorse, supporti, audiovisivi e materiale vario.

L’oratorio deve essere un luogo dove è bello stare, dove è bello trovare un amico, dove è bello essere amati, dove è bello tirar fuori i propri talenti. In una società di consumatori dove tutti sono in competizione contro tutti, nella società alternativa, di cui l’oratorio è sentinelle e avanguardia, si collabora e i talenti individuali sono messi al servizio del gruppo, della squadra, della compagnia, della comunità.

L’oratorio è il sogno di essere chiesa nella realtà di oggi, fedele al Vangelo di sempre e proiettata nel futuro ancora da scoprire.


Autore

(Ragusa 1978) moglie, mamma e collaboratrice dal 1998 dell'Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Ragusa.



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