Società

Pubblicato il 24 Novembre 2014 | di Redazione

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L’unione civile e il matrimonio a confronto

Che una unione civile fra g.a.y. (good as you oppure God accepts you)  dia luogo ad un tipo di famiglia che crea turbamento in molte persone non può essere negato. Si può comprendere a stento la ragione per cui nascano sentimenti di amore fra persone dello stesso sesso (evento che è comunque innegabile sul piano fattuale). Ma che questa famiglia possa essere equiparata a quella attualmente riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico va però contestato radicalmente. Il diritto italiano può certamente conferire valore giuridico (con conseguenti effetti giuridici) all’unione civile e alla (nuova immagine di) famiglia che da essa trae origine; purché questa abbia una configurazione giuridica diversa da quella che la nostra Costituzione ha assunto come modello.

Infatti l’articolo 29 della Costituzione, primo comma, afferma che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».

Da questo riconoscimento derivano alcuni corollari. Nell’ambito dei “rapporti etico-sociali”, la famiglia viene considerata la più importante formazione sociale; La famiglia non è costituita dal diritto positivo (“costituzionale” nel nostro caso), cioè dalla legge emanata dall’uomo. La legge si limita a riconoscerla come società formatasi per diritto naturale, cioè in virtù della legge inscritta nella coscienza dell’uomo. Questa famiglia, secondo l’evidente volontà del legislatore (e dunque della legge) costituzionale, è quella costituita da un uomo e da una donna, che si uniscono per i fini che a costoro ha riservato la natura, ancorché evidenziati storicamente in virtù del progresso della sensibilità umana . Il riconoscimento dei diritti, cui si riferisce la Costituzione e che spettano alla famiglia in quanto tale, è subordinato alla circostanza che siffatta famiglia si sia costituita mediante un matrimonio avente effetti civili.

A Costituzione invariata, la società naturale costituita mediante il matrimonio non può che essere questa famiglia, cui vengono riconosciuti particolari diritti (articoli 30 e 31 della Costituzione). Ciò non toglie che non possano esservi altre formazioni sociali, alle quali il legislatore ordinario, prendendo atto della loro esistenza, può certamente concedere diritti. Ma questi non possono essere interamente equiparati (come fotocopie) a quelli che alla famiglia spettano per diritto naturale, per adempiere appunto le funzioni proprie di società naturale. La totale equiparazione (per quanto concerne, ad esempio, il matrimonio, il diritto di procreazione, la facoltà di adozione)  implicherebbe un evidente vizio di illegittimità costituzionale.

Devono essere, com’è ovvio, riconosciuti, in favore dei componenti di queste altre formazioni sociali, i diritti personali di ordine naturale (cioè intangibili e indisponibili), oltre che altri diritti derivanti dalla loro unione . Il fondamento costituzionale di tali diritti si trova nell’articolo 2 della Costituzione («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»). Ma anche nell’articolo 3, qualora si tratti di tutelare la “pari dignità sociale” e l’eguaglianza “davanti alla legge” di “cittadini” che possano aver subito, e subire tuttora, discriminazioni di diritto o di fatto per ragioni di “sesso” e di “condizioni personali e sociali”.

Non occorre dire che per i cristiani, che si professino tali e tentino sinceramente di esserlo, la famiglia è fondata sul matrimonio religioso, che va ben oltre quello civile, perché ha i privilegi della sacralità e dell’indissolubilità voluti da Gesù Cristo. Per loro personalmente non hanno (non dovrebbero) avere alcun senso le questioni giuridiche e sociali nascenti dai matrimoni civili o da altre unioni di fatto aventi o non rilievo giuridico; questioni che però a loro interessano molto nella qualità di cittadini di uno Stato laico e democratico, cioè né etico né confessionale, perché riguardano tutta la società e non soltanto i laici non credenti.

Una legge emanata in favore dei diritti personali dei conviventi, che superi la frammentazione di essi in varie normative e l’occasionalità e sporadicità del loro riconoscimento, deve sicuramente ritenersi una legge giusta.

È auspicabile tuttavia che una legislazione più coraggiosa (in particolare sotto il profilo finanziario) in materia di diritti e di tutela della famiglia possa rimettere questa al centro dell’attenzione della società e della politica, rimuovendo le cause della disaffezione dei giovani verso l’impegno difficile che essa richiede e favorendo lo sviluppo di una cultura (nel cinema, nella televisione, nella narrativa e nei luoghi dell’educazione), che veda nell’istituto familiare, non tanto l’aspetto del legame giuridico, quanto quelli della donazione reciproca per amore, dell’indispensabile educazione delle future generazioni e della solidarietà umana, posta dalla nostra Costituzione a fondamento della società.

 

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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