Pubblicato il 5 Aprile 2024 | di Vincenzo La Monica
0Illuminismo taborico
A Luca Farruggio piace accostare il fiammifero al materiale infiammabile. O, come sarebbe piaciuto al suo maestro e corrispondente Manlio Sgalambro, l’ombrello alla macchina da cucire. Il suo obiettivo potrebbe sembrare quindi la vampata, lo spiazzamento, la divisione e invece, come vedremo tra poco è il prodursi di un’illuminazione capace di guidare e riscaldare mente e cuore.
Esplorando questa possibilità, nel 2017 Farruggio pubblicò il volumetto “Del pessimismo teologico: il pensiero di un cristiano solitario” e in questo nostro 2024 torna a mettersi sul cammino della filosofia congedando “Illuminismo taborico” che di quel primo volume rappresenta il superamento.
Farruggio è un pensatore abituato a interrogare i dogmi più che ad adorarli e mette subito in chiaro che l’Illuminismo del titolo non è quello del movimento politico, sociale e filosofico che divampò in Europa a partire dal XVIII secolo. Con quell’Illuminismo il nostro autore non è tenero. Gli illuministi vengono definiti “grandi menzogneri dell’umanità”, ma soprattutto viene loro imputata la colpa di avere “nascosto e custodito gelosamente sotto il letto ciò che vi era di davvero Luminoso”.
Come non ricordarsi del passo di Matteo: “Ma non c’è niente di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Perciò tutto quello che avete detto nelle tenebre, sarà udito nella luce e ciò che avete detto all’orecchio nelle stanze interne, sarà proclamato sui tetti.”
Luca Farruggio, tuttavia, non sale su un tetto, ma su un monte. La luce di cui si fa portatore, infatti, è quella del Tabor, quella della Trasfigurazione che rese Gesù un essere sfolgorante come un astro agli occhi dei discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni.
Un’esperienza talmente trascendente che anche il filosofo deve arrendersi: “L’illuminismo taborico è la risposta di chi sa. Di chi sa e non lo può dimostrare. O meglio: non lo può dimostrare totalmente con le armi dell’Intelletto e della Ragione, perché si entra in quell’abisso profondo che è l’Indicibile”
Il lettore, quindi, è chiamato a seguire un sentiero che, abbandonate le pur gustose polemiche dei primi capitoli, diventa sempre più appartato, pensoso, ascetico. E appassionato fino a tradursi in esortazione morale. Se la Divinità è un Sole abbagliante, quale sarà lo schermo che ci consentirà di guardarlo?
Il filosofo taborico sembra rispondere che questo schermo è l’atteggiamento che cerca l’espandersi dell’amore verso il prossimo, piuttosto che i culti di statue e di idoli. Un’azione che persevera fino alla fine nella ricerca del bene con la certezza che era quella di Origene, che è stata ritenuta eretica e che, alla fine è stata accettata da buona parte del Cristianesimo e cioè che anche l’Angelo ribelle (in fondo un portatore di Luce anche lui…) alla fine dei tempi ritornerà a Dio e sarà salvato. Perché nulla è impossibile a Dio. Una prospettiva che rischiara il caos e l’agone in cui siamo immersi. Un atto di fiducia e di resistenza mistica: chi persevera fino alla fine, sarà salvato.