Pubblicato il 3 Luglio 2024 | di Enrico Giordano
0Se (o quando?) questo è un uomo…
Una sottile tentazione parlando del diritto alla vita è quella di deviare l’attenzione dalla vita stessa alla sua dignità, dribblando dal fatto oggettivo di un essere unico ed irripetibile a considerazioni tanto filosofiche quanto generiche.
Facciamo un’ipotesi pratica, chiedo scusa che possa sembrare un po’ cinica, ma per rendere meglio l’idea.
Immaginate una giovane coppia di sposi nello studio del ginecologo per un ecografia routinaria, ad un certo punto il dottore si acciglia, ingrandisce un particolare, punta la sonda, cambia angolazione, ripunta la sonda ed alla fine sentenzia: c’è un problema, in una manina c’è un dito in più. Dopo un primo attimo di sbandamento i neogenitori cominciano a prendere colore: sì è un’anomalia, ma in fondo considerano…dovrà farsi fare i guanti su misura… potrebbe diventare un grande pianista… ma non era meglio se succedeva al piede?
Lasciando la nostra ipotetica coppia a rimuginare, domandiamoci: se mancavano del tutto piede, mano? O altri casi? Qual è il “paletto” che fissa il limite della dignità della vita? Sorvolando sull’ortopedia: se c’è un problema all’udito (ma Beethoven era sordo quando scrisse la nona sinfonia?) o alla vista (ma allora Ray Charles, Stevie Wonder e Andrea Bocelli, per non parlare di Omero?) o deficit genetici o neurologici?
Forse la durata? Dopo un’ora, un giorno, 14 giorni (termine assunto nel 1984 dalla commissione Warnock entro al quale consentirebbe manipolazioni genetiche), un mese, cinque o nove? È un processo continuo e sezionarlo in fasi (embrione, feto) può essere utile per noi, per capirci, ma i passaggi da una all’altra non sono netti: se il concepito fino a 20 settimane è un embrione e poi feto che differenza, non morfologica ma sostanziale (ontologica con un parolone), c’è tra uno di 19 ed un altro di 21 settimane o fra un feto di 8 mesi ed un bambino già di un mese?
Autonomia di vita? Dipende in tutto e per tutto dalla madre, ma anche dopo la nascita e per diversi anni.
Credo che la cartina al tornasole per un giudizio sia accomunare nelle stesso destino i non nati con i nati con le stesse difficoltà: se lo “stoppiamo” per una qualsiasi disabilità prima cosa faremo dopo la nascita?
Nel rispondere consideriamo che si può perdere qualche abilità nel corso della vita (basta un incidente, un trauma). Coerentemente chi propugna l’aborto eugenetico come soluzione arriva subito, prima ancora di accorgersene, all’eutanasia: che senso ha il lavoro di tante lodevoli associazioni a favore di questa o quella disabilità? I “dolcissimi” down rilevati dalla diagnosi prenatale in Islanda vengono sistematicamente abortiti, e coloro che soffrono dei disturbi dello spettro autistico ringrazino che non c’è ancora un’analisi che li possa scovare, altrimenti farebbero la fine dei down. E le paraolimpiadi, lo stesso Telethon?
Meglio smettere di farci illusioni (e sprecare risorse private e pubbliche) e avviare tutti alla “rottamazione” e, ormai che ci siamo, anche tutti quelli sani semplicemente stanchi (o “stancati”) di vivere?
Ancora: di recente la cronaca nera ha registrato il femminicidio di una donna incinta. Subito è nata un’ondata di indignazione: duplice omicidio! Al di là dell’emozione questo implica la personalità giuridica del concepito, ma il disegno di legge che lo propone è ripresentato da decenni senza trovare spazio nell’agenda parlamentare.
Ma è umano tutto questo? Troppe domande? La dignità dell’uomo non può dipendere da un altro uomo, dalla società. In particolare il bambino concepito è un essere umano per nessun altro motivo che esiste, senza bisogno di alcun attributo: senza “se” e senza “ma”.