Politica

Pubblicato il 6 Luglio 2024 | di Vito Piruzza

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Cambiamenti e progresso impongono un nuovo contratto sociale

Tommaso Nannicini attualmente insegna economia presso l’Istituto universitario Europeo di Firenze. È stato anche sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e, per una legislatura, senatore. Nelle scorse settimane è stato a Ragusa, ospite della Scuola dei Beni comuni.

Recentemente, in più occasione, ha parlato di nuovo contratto sociale. Perché? Su quali esigenze si basa questa sua determinazione nel richiedere un nuovo contratto sociale?

«Sul fatto che il progresso tecnologico e i grandi cambiamenti che stiamo vivendo stanno sgretolando tutta una serie di cose che tengono insieme la nostra società, che danno un senso al nostro Stato sociale, alle nostre politiche pubbliche, che andavano bene. Prima! Prima che ci fosse l’automazione che sconvolgeva il mondo del lavoro, prima che ci fossero i mutamenti culturali che cambiavano i ruoli all’interno della famiglia tra uomini e donne, etc. adesso non funziona, non danno risposte a quello che ci serve oggi con questo mondo del lavoro, con queste famiglie per produrre coesione sociale».

E quali sono gli ambiti di intervento più urgenti e più strategici?

«Abbiamo bisogno di un sistema di formazione permanente e di massa dove le persone lungo tutto il ciclo di vita ricevano servizi ben finanziati, ben valutati nei risultati di orientamento, formazione, accompagnamento al lavoro. Abbiamo bisogno di un tempo di base, non solo di trasferimenti monetari, ma di momenti che ti liberano tempo durante il ciclo di vita per formazione, per ricerca di nuove prospettive, per esigenze di cura all’interno della famiglia in maniera paritaria, egalitaria tra uomini e donne. Quindi un tempo di base che permetta a tutti di avere un bilanciamento tra vita e lavoro diverso, in modo che l’aumento della produttività vada a vantaggio anche della libertà individuale e della coesione sociale. Quindi abbiamo bisogno di formazione permanente, tempo di base, abbiamo bisogno di creare un’attenzione nuova dello Stato rispetto al tema della ricerca, altrimenti saranno solo pochi grandi interessi economici a livello internazionale a orientare scelte tecnologiche che non sono solo scelte settoriali, ma sono scelte, viste le nuove tecnologie (penso all’intelligenza artificiale generativa) che impattano così tanto sulla vita di tutti i giorni, le relazioni che abbiamo, come lavoriamo, come passiamo il tempo libero. Questi grossi cambiamenti dobbiamo deciderli anche noi, come orientarli, non solo alcuni giganti digitali».

Un welfare più adeguato ai cambiamenti sociali deve offrire più servizi o sostegni economici?

«Deve sicuramente imparare a fornire più servizi. Abbiamo dato troppi bonus, troppi trasferimenti, a cosa servono? Serve la garanzia del reddito, ma insieme alla garanzia del reddito nei periodi di difficoltà per cui ti assicuro con la rete di protezione sociale devo darti servizi forti che diano risposta ai tuoi bisogni».

Da economista cosa pensa del reddito minimo?

«Inteso come reddito universale può essere una soluzione di un modello di welfare dove reddito e tempo un reddito di base e un tempo di base sono a beneficio di tutti in modo che il progresso tecnologico e sviluppo vadano di pari passi insieme a una rete di protezione minima. Non basta ma può essere uno degli strumenti».

Pensa che attualmente ci stiamo orientando nella giusta direzione?

«La politica ha ormai strumenti spuntati per dare risposta a queste grandi trasformazioni. Il Censis nel suo rapporto ha detto che siamo dei sonnambuli perché ci aggiriamo un po’ addormentati rispetto ai problemi che incombono. Spesso più che sonnambuli a volte siamo un po’ ipocriti, facciamo gli struzzi riguardo ai problemi, li vediamo, ma facciamo finta di niente perché ci interessa il quieto vivere, il business as usual. Altre volte siamo semplicemente impotenti, li vediamo, ma con gli strumenti dello Stato nazionale e con le disparità di potere economico a livello internazionale non riusciamo più a incidere, abbiamo smarrito la via delle riforme coraggiose; quella via nel passato l’abbiamo ritrovata solo scatenando la potenza dell’azione collettiva, grandi movimenti, grandi organizzazioni sociali. Senza questa potenza penso che sarà difficile dare nuove risposte».

Un nuovo contratto sociale quindi deve essere frutto di una nuova visione.

«Essere frutto di una nuova visione e di forze sociali che diano gambe a quella visione e sogni a quella visione».


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