Pubblicato il 9 Dicembre 2014 | di Andrea G.G. Parasiliti
0Sulla morte di Giufà, che morte non è ma scomparsa
Checché ne possa dire Bufalino, Giufà non è morto all’inizio della Targa Florio (6 maggio 1906), agli albori della corsa, la più romantica d’Europa, che se eri un uomo vero, dovevi venirci da tutto il Globo.
E per Giufà, quell’essere che, all’inizio del ‘900, vestito di occhiali e con la pelle di cuoio, animava un carrozzone metallico che alzava il polverone delle trazzere, non era il diavolo.
Ma andiamo per ordine.
Giufà non è morto essendo lui al di fuori degli schemi temporali che contengono l’esperienza esistenziale dell’uomo fatto di spirito, di ossa e di sangue.
Né tanto meno Giufà ha parentela con il Dio di Gesù Cristo, che è entrato, potremmo dire, ex abrupto nella storia, nello scorrere dei giorni, dando vita al nuovo calendario.
Giufà è piuttosto vero dio ma non vero uomo, più simile a una divinità greca che si affiancava agli eroi omerici, allo stesso Odisseo, prendendo per un periodo sembianze mortali ma rimanendo immortale e forse senza peso.
Quella che comunemente chiamiamo natura leggendaria di Giufà cozza con la sua stessa natura divina, tant’è che si sa, è stato visto e viene visto ancora oggi, con attributi un poco simili e un poco differenti, in tutte le sponde del Mediterraneo.
Giufà, che è allora di natura veramente divina, è scomparso negli ultimi anni dalla Sicilia ed è scomparso più propriamente da quando le madri di famiglia non si riuniscono più nelle loro case per dire il Rosario.
Perché Giufà ha uno stretto rapporto con la religione, che è Cristianesimo e Islām, e con la parola.
Una volta Giufà, come ci ricorda Leonardo Sciascia (che da poco ha festeggiato i 25 anni di dipartita dal pianeta Terra) ha ammazzato un cardinale scambiandolo per un pettirosso. Lo stesso Giufà si tirava la porta appresso, quando la mamma se n’era andata in Chiesa.
E Giufà è stato visto a pronunciare il Sermone del venerdì, fregava i datteri al compagno, quando con i datteri e un bicchiere d’acqua si interrompeva il digiuno del Ramadan e si raccontano di lui i discorsi che faceva con un cristiano e un ebreo, lui nei panni del musulmano.
Giufà capiva le parole, ma nel loro significato vero, quasi un sì sì è un no no letterale, per cui due fave erano due, e non aveva facoltà allusiva e retorica, dell’uomo malizioso.
Per Giufà la Sicilia e il Mediterraneo sono a Nord, come per il grande geografo arabo al Idrīsi, che dedicava le sue opere a Ruggero il normanno, quelle opere che erano sollazzo per chi si dilettava di girare il mondo e che oggigiorno vengono riproposte da un editore di Cava d’Aliga.
Per Giufà, Gerusalemme è Terra Santa, come per i tre Monoteismi del Mediterraneo e dietro a Gerusalemme, nella valle, c’è la Gehenna, perché per Giufà il diavolo esiste.
Non di morte quindi ma di scomparsa di Giufà si tratta: di scomparsa certamente meno illustre e scientificamente rilevante di quella di Ettore Maiorana, ma non per questo meno interessante, anzi: identitariamente fondamentale.
E Giufà è scomparso perché non più cercato, essendo lui come il diavolo, che riappare non appena nominato.