Cultura

Pubblicato il 29 Settembre 2015 | di Giuseppe Nativo

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“Ginevra (parte seconda)” – Viaggio onirico narrativo

Ancora un libro di Franco Cilia. Uno scrigno costellato di stati d’animo che si sfogliano pagina dopo pagina. Un libro che non spiega quello che non si può spiegare e che illustra, con raffinate sfumature, e quasi come una cronaca, le tappe della vita di nonno Franco (ovvero Franco Cilia, maestro eclettico delle arti visive e narrative) e la sua amata nipote Ginevra (oggi ragazzina di cinque anni, ma nella dimensione temporale della narrazione venticinquenne e orfana del nonno). Entrambi protagonisti, ancora una volta, del recente volumetto edito per i tipi Aurea Phoenix Edizioni, “Ginevra – parte seconda” (2015, pp.80).

Un sequel, al primo lavoro (“Ginevra”, Feeria, 2012), la cui intensa lettura piglia alla gola il lettore imprimendo nel suo animo un solco indelebile. Dante sintetizza questo concetto con dei versi di elevata tensione espressiva: “non fa scienza, /senza lo ritenere, avere inteso” (Par. V, vv. 41-42). Il “ritenere” come sinonimo di trattenere nel proprio intimo una parte importante di quanto compare sotto gli occhi e che deve necessariamente transitare nella mente. Di qui l’architettura narrativa di Cilia in cui la memoria percorre il sentiero del tempo interiore che sradica le tradizionali strutture del romanzo, scomponendo con finezza intellettuale il rapporto tra fabula e intrecci narrativi.
«L’arte cammina verso le porte del cielo, ma solo l’amore può entrarci» , un sentimento così grande per la nipote Ginevra che sovrasta finanche quell’energia che per il sommo poeta “move il sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII, 145). Un’energia affettiva che viene ripercorsa dall’autore (co-protagonista del volumetto) a partire dal suo stesso funerale che «come una drammaturgia barocca – scrive in postfazione Totò Stella – si svolge all’arrivo della nipote da Parigi» accorsa dopo la triste notizia colà ricevuta della dipartita del suo caro nonno. Pennellature cromatiche contraddistinguono l’appassionante iter narrativo in cui Ginevra sente la voce del nonno dentro il suo cuore: dai «vicoli senza tempo» di Ibla in cui prendono forma «strane forme di luce e ombra», luoghi della prima infanzia di nonno Franco ripercorsi in un viaggio mentale con Ginevra, fino alle varie stagioni creative della sua arte e alla tragedia esistenziale della prematura dipartita del figlio Gianluca. Nel silenzio affollato gravido di colori e di voci, mentre un lieve vento accarezza e gioca con i suoi capelli, «la Ginevra futura ricorda la sua infanzia a Ragusa» attraverso anche la lettura delle carte del nonno volato in cielo («la morte non è altro che viaggiare nudi nel vento della speranza di incontrare Dio e il suo perdono»). In tale quadro narrativo «le tre dimensioni del Tempo – annota il prefatore Ennio Bispuri – vengono annullate e fuse in un extra-tempo disciolto all’interno di un accadere che al lettore appare come passato. Come dire che il presente diventa passato nella prospettiva di Ginevra che sta vivendo nel futuro».

+ IL PARERE DEL CRITICO

Il sacro fuoco dell’arte arde ancora dentro

Bene e Male, due lati della stessa medaglia, inconciliabili e antitetici: la storia dell’arte tramanda artisti “votati” all’uno o all’altro (citerei l’angelico Beato Angelico e l’infernale Bosch per antonomasia: l’uno mai avrebbe potuto dipingere opere anche lontanamente simili a quelle dell’altro!). Vi è poi Franco Cilia (su questo piano un unicum forse nella storia dell’arte occidentale) capace di dipingere l’inferno in quadri intensissimi e terribili (di una “terribile bellezza”, come quelli di Bacon) come se vi fosse già stato, e quadri di stupefacente bellezza eterea celestiale divina, come l’opera che credo convintamente sia il capolavoro di Cilia, la bellissima rappresentazione in azzurro-celeste e rosa dell’ascensione di Cristo, a mio avviso uno dei più bei dipinti (non di Cilia, non della pittura occidentale, non della contemporaneità, ma bensì della pittura tout-court!); e solo un poeta come Cilia (dallo sguardo luciferino e dall’animo lirico) avrebbe potuto realizzare opere tanto antitetiche e con pari intensità emotiva: è sceso agli Inferi, li ha fotografati con gli occhi e la mente, è tornato sulla Terra e li ha trasposti su tela; e poi ha fatto lo stesso (ma con nuova e opposta sensibilità) viaggiando indietro nel tempo fino a duemila anni fa e “osservando” l’ascensione di Cristo “dal vero” (come avrebbe potuto altrimenti essere così “preciso” nella trasposizione dell’evento-miracolo da darcene piena sensazione?). Personalità unica, Cilia con queste sue ultime opere si colloca pienamente nel Gotha dei massimi pittori per il livello (massimo, insuperabile) della tecnica e della poesia. La storia tramanda che artisti, filosofi e scienziati donino al mondo i massimi prodotti delle loro menti intorno ai 25 anni d’età; Cilia ha raggiunto i massimi livelli (suoi e della pittura in assoluto) nella tarda maturità, a un’età alla quale gli altri artisti si ripetono stancamente, in parte per soddisfare il mercato (che chiede ripetizione e immediata riconoscibilità) e in parte per stanchezza creativa, esaurimento del sacro fuoco; che in Cilia arde più che mai: fiamme infernali che illuminano con luce celestiale.

di Giorgio Guastella

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Autore

Pubblicista. Appassionato di storia locale. Nel 2004 ha pubblicato un libro sulla Inquisizione in Sicilia nel XVI secolo, con particolare riferimento alla Contea di Modica. Collabora a diverse testate cartacee e on line.



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