Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione
0Il faccendiere ultimo personaggio del catalogo del disfacimento
Vorrebbe avere, il termine, un che di spregiativo. Sa di mercati generali, di combriccole e di affari, qui definiti faccende”. Hanno precedenti analoghi le parole cliente, prosseneta, ruffiano. Si indica anche una frenesia, l’irrequietezza insonne dell’intrigo. A beneficio proprio o della comarca. Ma qui e ora, da noi, Italia 2011, vuole indicare chi sa lavorare di bulino, là dove la politica è un merdaio, nel procacciare affari per conto proprio o d’altri, intrecciando tresche di “dareavere” in cui il losco è il timbro specifico.
C’è anche una graduatoria nell’elenco, piccolo medio grande, secondo la misura del combine e il suo valore. E c’è un vocabolario, spesso copiato dall’osteria, dal postribolo o dalla caserma, o anche inventato di sana pianta, per rendere più immediato e sanguigno il linguaggio e i suoi significati. Repubblica del 27 ottobre scorso di questo vocabolario ci regala un campionario in un resoconto del faccendiere che scorrazza nel sistema satrapico berlusconiano, dove il poco conosciuto Valter Lavitola, ultimo epigono del disfacimento della politica, è il protagonista. “Andare a torta” significa spartirsi il malloppo, “un bacio, un bacione”, ci riporta al Totò Cuffaro vasa vasa, o al bacio, presunto o vero, di Andreotti a Riina, o infine, tout court, al rito mafioso in cui baciarsi è il timbro di una connivenza. Le “foto” sono mazzette di denaro che scorrono di mano in mano, mentre le Maserati o le Ferrari, senza bisogno di criptarne il nome, sono regalucci per compensare favori di rango, e le escort assolvono al ruolo eminente di donne-tangenti da elargire a chi ti ha favorito.
In questa melma maleodorante il suddetto vocabolario si riempie di parole che cominciano con la lettera “m” o con la “c” e che non appartengono più al linguaggio cifrato a garanzia della decenza, ma a quello spudoratamente esibito e sfrontato in uso nella cloaca politica.
È un termometro, questo linguaggio, che misura la febbre di una società malata, che non dispone più di una semantica puntuale, aggiornata e significante, capace di comunicare e segnalare qualcosa del mondo in cui vivi, ma si riduce a pescare nelle suburre dove agonizza la politica, la parola che le serve.
È dunque una crisi della parola che contamina e distrugge la politica di fronte alla quale il vecchio vocabolario appare logoro e demodé.
Ecco che il “faccendiere” si arroga il diritto di riformarlo, adottandone uno nuovo da lui creato a suo uso e consumo. Un solo esempio: “Ti prego agendami” supplica rivolto alla segretaria del capo senza timore di far inorridire, più che i linguisti, i cultori ordinari della lingua madre.
D’altra parte la politica sta trasformandosi in un inedito assoluto, qualcosa che dietro di te, nel tuo passato, non c’è, e perdi tempo se la cerchi.
Il Lavitola è dunque l’ultimo personaggio del catalogo del disfacimento. Uno che non sta fermo, non dorme, adora il telefono, si muove, va spesso in Brasile, dove il suo capo e mentore gli consiglia di restare per sottrarsi alle angherie dei magistrati comunisti.
È uno che di professione fa il pescivendolo all’ingrosso ed ha la sembianza di un ragazzotto di paese, ma conosce i meandri dell’incastro tra affari e politica, fatto di spericolate scalate nelle stanze del potere, di intrighi e intrallazzi vari, tutti sostenuti, foraggiati e guidati dal capo. Il quale, nelle telefonate, è chiamato “lui”, col pronome anziché col nome. “Lui”, dunque, non esita ad affidargli cospicue somme di danaro da consegnare al manutengolo barese Tarantini, altra sembianza del malaffare e dell’improntitudine, mediatore di escort, procacciatore e distributore di malloppi, l’ultimo dei quali doveva essere consegnato proprio a lui. Ma pare che il malloppo non si sia mosso dalle tasche a cui era stato affidato, non essendo mai arrivato all’esimio destinatario.
Insomma un personaggio che predilige la trama, è attento alla sequenza e soprattutto tiene all’epilogo. Come si conviene a chi ha scelto di fare in politica la sanguisuga.