Pubblicato il 26 Novembre 2015 | di Redazione
0Democrazia e verità
Mi è capitato tempo fa, quando ancora la crisi economica non era esplosa nella sua virulenza, di ascoltare la conferenza di un personaggio di rilevante spessore professionale, il quale, ribaltando il catastrofismo giornalistico corrente, riferiva le sue impressioni apodittiche, che cioè la crisi, come la peste di don Ferrante, non esisteva. Era infatti andato al cinema e l’aveva trovato affollato di parecchia gente, al ristorante non c’era posto, e la discoteca – gli riferivano i figli – era piena di ragazzi.
Pretendeva, a riprova della catastrofe, che i più abbienti fossero diminuiti di numero e quindi non gremissero cinema, ristoranti e discoteche. Ma il dramma sta proprio in quel che egli non vedeva, e cioè che i ricchi erano più ricchi e continuavano più di prima a consumare, i poveri più poveri e stringevano la cinghia riducendo i consumi come prima. Ma se questi ultimi non andavano al cinema o in discoteca, non lo dicevano ad alcuno, anche perché molti di loro, in questi luoghi non ci andavano neanche prima.
Questo ritornello l’ho riudito, durante l’estate, a ridosso di una spiaggia. Affollata di gente di ogni età impegnata a negare, con la sua presenza, secondo il mio interlocutore, che la crisi non c’è. Statistiche, sondaggi, ricerche socio-economiche, analisi dell’Ocse e della Bce? Tutti diversivi giornalistici. Se ci fosse la crisi, dovrebbe esserci il deserto sulla spiaggia. Che invece non c’è. Si pretende che il popolo dei precari, dei salariati a 800, 1000 euro al mese, dei pensionati a 400 euro, porti un avviso sulla mostrina della giacca e dichiari a tutti la sua pena. Soprattutto che vada in spiaggia a fare un bagno gratis. C’è poi qualcuno che, dal suo alto scanno, ripete senza stancarsi che la crisi è più psicologica che reale e invita gli italiani a consumare. Esortazione beffarda fino all’insolenza. A chi parla? A chi rivolge l’invito a consumare? Ad Agnelli, Tronchetti, Briatore? O al popolo dei sofferenti che non arrivano a fine mese? Cosa devono consumare se alla terza settimana non gli restano neppure gli occhi per piangere?
C’è un cinismo della politica che mira alla narcosi per lenire e rimuovere l’avversa contingenza, propinando sonniferi e placebo. Cioè menzogne, negazioni plateali della verità.
Sappiamo che nella politica c’è anche la mediazione, l’incontro a metà strada, il compromesso. Ma c’è una sfera di valori irrinunciabili sui quali si può trattare solo per difenderli: la libertà, la democrazia, la vita, i diritti fondamentali.
Ma, al di là di ciò, esiste una zona grigia dove s’annida l’imbroglio, la manipolazione, la miscela maleodorante. L’abbiamo visto anche col caso Marrazzo, il presidente della Regione Lazio incappato in un squallida vicenda di trans e di droga, che per difendere se stesso e la famiglia, tenta di propinarci una verità a rate giornaliere, negando, parzialmente ammettendo, ritrattando ciò che aveva detto il giorno prima.
Per esempio, usare, come fa qualcuno, in infinite salmodie monologanti la parola “comunista” quale scudo dietro il quale nascondere le proprie magagne in una ossessione ripetitiva, insensata fino al ridicolo, è operazione che rimuove verità elementari, tentando di sostituirle con un mendacio infantile, futile e aperto allo scherno di ogni pur fievole intelligenza. L’evocazione del lupo appartiene a una muffita strategia educativa dell’infanzia, ormai desueta. Il guaio è che la favola viene usata a corredo di giustificazioni che non giustificano nulla.
Per scoprire poi l’anomalo rapporto che spesso si costruisce tra politica e verità, basta leggere la cronaca o assistere a qualche dibattito televisivo. Qui ad aggredirvi sono esempi eclatanti di manipolazione della verità o di una sua negazione in radice. Se uno è a corto di argomenti, sulle inclinazioni private del premier, o sulla cloaca dello scudo fiscale, o sull’impudenza nell’affidare alla politica la tutela di interessi personali, che fa? Svicola, tergiversa, scivola, fruga nella mente in cerca di risposte? Neanche per sogno. Interrompe l’avversario, una, due, dieci volte, spesso in coro con qualche altro socio presente, con accanita e cafona perseveranza, per impedirgli di parlare. Deve star zitto. Il conduttore annaspa, implora il rispetto del turno, interrompe a sua volta. Il risultato è una baraonda, un casadeldiavolo, un… (scusate, ma ometto la parola).
Quanto ai giornali la verità, che l’elettore cerca per maturare proprie convinzioni politiche da travasare nel voto, spesso viene disciolta in una melassa viscida, incomprensibile, in cui la prudenza, l’altalena, il dire e il non dire, rispondono a una strategia della presunta moderazione che viene volgarmente chiamata terzismo, ma spesso è solo necessità adulatoria verso il potere. Essere terzo è facile, e anche comodo, non si è né di qua né di là, né carne né pesce, né rosso né nero. Si baratta come equilibrio il buon senso, la moderazione, ciò che invece sono fuga dalla lezione dei fatti, spesso manipolazione e sudditanza.