Cultura

Pubblicato il 16 Novembre 2015 | di Redazione

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Il romanzo Stabat Mater

Si chiama Cecilia, ha sedici anni, l’Ospitale, l’orfanotrofio dove adesso si trova l’Ospedale della Pietà di Venezia è la sua casa. È lei la protagonista del romanzo Stabat Mater, vincitore del Premio Strega nel 2009, di Tiziano Scarpa.

Sebbene viva in comunità Cecilia si sente ogni giorno più sola. Parla poco, non ha amiche, l’angoscia è la sua compagna di avventure, quella stessa angoscia che permea le sue notti impedendole di dormire. Ha trovato un luogo segreto, è lì che trascorre le ore buie, mentre la piccola realtà che la circonda è addormentata. Il gradino più alto di una scala nel quale rimane seduta per ore. Due figure immaginarie le fanno compagnia: la Signora Madre e la Sua Morte, “la testa con i capelli di serpente dalla voce gentile”.

Cecilia è stata abbandonata nella nicchia dell’Ospitale appena nata, non ha alcun ricordo della Signora Madre a cui continua a scrivere durante la notte: cerca di figurarsela, le implora affetto, la respinge, la elogia, la insulta. Un comportamento ambivalente sorto dal contrasto fra due sentimenti opposti: odio e amore. La Sua Morte è la sua stessa ombra, una sorta di coscienza pronta a svelarle le motivazioni più profonde che si celano nel suo agire.

Ma Cecilia non è l’unica protagonista dell’opera, ha una compagna fedele: la musica che attraverso di lei prende corpo, quella musica coinvolgente, colma di emozioni che viene fuori dalle opere di Don Antonio Vivaldi. È lui il nuovo compositore dell’Ospitale, un giovane ricco di talento e di voglia di vivere, amante dell’estetica che ambisce a sconvolgere gli animi del pubblico con la sua musica. Uno stile completamente diverso da quello ormai spento e carico di morte dell’anziano Don Giulio, il compositore precedete dell’Ospitale. Composizioni giovani, energiche vengono fuori dalla sua orchestra e dalle voci delle sue cantanti “uno concerto dove si sente schiumare la nostra indole di donne, prima gaiezza, poi il languore, poi di nuovo l’euforia”, così ne parla Cecilia. Eppure quella musica tanto ricolma di suggestioni viene fuori da corpi senza volto. Nessuno conosce le giovani musiciste e cantanti chiamate a eseguire dietro una grata di ferro su una balaustra rialzata, abituate a mostrarsi in pubblico con il volti coperti da maschere che ne lasciano intravedere soltanto gli occhi.

Cecilia è la migliore e la più misteriosa delle violiniste, la musica è il suo talento, una musica che la pervade da dentro permettendole nella notte di eseguirla con la sua mente come unico strumento. È combattuta su ciò che prova nei confronti della musica, le fa vibrare l’anima “sono stata burrasca, tempesta, tuoni, lampi, ho pianto nel sentirmi diventare tanta furia, oltrepassando me stessa”; ma al contempo la opprime, le fa vivere emozioni vuote e prive di significato che non le sarà mai concesso di provare realmente, si rende conto di non rappresentare con il suo violino la realtà, ma un’idea di realtà “è così infantile mettersi a imitare i rumori del mondo suonando, quando le uniche cose che è in grado di imitare la musica sono le nostre idee”.

Un omaggio a Vivaldi e alle sue esecutrici senza volto che lo scrittore Tiziano Scarpa ha voluto fare in maniera intensa e coinvolgente. Un’opera carica di emozioni e di una forza pulsionale che non permette al lettore di allontanarsi dal libro, con un tuffo fra la poesia della musica e delle parole e l’angoscia di Cecilia nella sua continua ricerca per una madre che per lei non è mai esistita. Un tuffo nell’incubo dei bambini nati nelle latrine e abbandonati al loro destino. La storia di una città del settecento piena di orfani e infelici costretti a vivere lontani dal mondo, in una continua lotta fra la volontà di vivere e di morire. In un’esistenza carica di angoscia il loro rifugio diventa spesso l’unica forma d’arte loro concessa: la musica.

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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