Pubblicato il 31 Maggio 2013 | di Andrea G.G. Parasiliti
Da Chiaramonte al Camerun, parte II
Interessante sarebbe pure la storia del fondatore… Una sorta di massone-mangiapreti che riceve per la prima volta la comunione a vent’anni, nel 1810 a seguito della morte del padre.
«Ma io volevo andare in missione sin dal noviziato – mi richiama a sè la zia – volevo andare in Africa, lavorare con i bambini, con la gente, portare la buona novella a chi non l’aveva sentita».
Ma cosa significhi “missione”, mi domando e le domando ingenuamente…
Suor Redenta mi risponde: «È un lavoro che tu svolgi con qualcuno…lo studio per te ragazzo è una missione… Quello che tu ti impegni a fare, a costruire… Una madre, una mamma ha una missione… Insomma ogni giorno mi realizzo quando cerco di capire quello che il Signore vuole da me… Nel 1974 sembrava che il mio sogno si stesse per realizzare, ma il Signore voleva da me un’altra cosa: andare in Germania con gli immigrati italiani. Non era il mio sogno e ho fatto fatica ad accettarlo. Finalmente capii che anche Gesù era un emigrato… Così dal 1977 al 1990 sono rimasta a Monaco di Baviera ad insegnare. Il mio sogno era realizzato perché avevo dimenticato l’Africa. Ma una volta tornata a Roma l’Africa è divenuta impetuosa… Ma bisogna sapersi abbandonare a Dio, e stare là dove lui ci vuole… Però ecco che il 25 gennaio del 1991 mi arrivò una chiamata: vai in Camerun!».
Prima di farla proseguire le chiedo delle informazioni circa il suo ordine… Mi parla del loro giornale: si chiamava “Insieme” come il nostro. Poi mi racconta dei rami che ci sono nel suo istituto e mi dice: «Sono due. Uno contemplativo e uno apostolico. Ma ci sono pure gli associati della Santa Famiglia e le consacrate laiche. Queste ultime sono come il lievito nella pasta, non si vede ma la pasta fermenta… Si tratta di ragazze che fanno i voti pur restando nelle loro famiglie, senza che gli altri ne vengano a conoscenza».
Infine nell’agosto del 1992 dopo corsi di formazione linguistica e culturale arriva in Africa… «Mi sembrava di essere stata sempre lì, di essere nata lì. La natura è come in Sicilia: arida, terreni brulli, pietre. Ma un contesto di povertà e di semplicità. In ospedale i malati erano coricati per terra. Vidi un moribondo con uno strano cuscino. Mi avvicinai. Era un sacco di plastica con dentro una pietra. Una delle prime cose che creai fu la “banca dei bambini”. Si trattava di far fare loro dei lavoretti simbolici tipo prendere l’erba per i conigli o l’acqua. In cambio noi gli avremmo pagato la scuola… Non bisogna fare l’elemosina. Ma bisogna mettere la persona in piedi».
A questo punto le chiedo di spiegarmi meglio… E mi racconta la storia del 100 franchi… La storia di un bambino diversamente abile in Africa. «Vicino Mokolo con noi c’era un ragazzino che non poteva camminare. Pensai che non era giusto fargli l’elemosina. Lo avremmo soltanto umiliato. Allora mi inventai un lavoretto per lui… Ogni sabato veniva a sbucciare le noccioline. Si guadagnò i suoi 100 franchi per pagarsi la scuola. Qualche anno dopo mi venne a trovare… Mi disse: suor Redenta sto finendo l’università ormai!».
Suor Redenta e le altre missionarie hanno messo su delle scuole per orfani, ragazzini ciechi e muti grazie ai finanziamenti della Diocesi di Como.
Quando suor Redenta torna a Chiaramonte la gente si ricorda di lei… «La gente è molto interessata alla missione… I parroci mi fanno parlare durante la messa. Dopo le mie testimonianze vengo assalita di domande e tu passeggi verso casa raccontando mentre ti tengono sotto braccio…».