Cultura

Pubblicato il 7 Settembre 2013 | di Andrea G.G. Parasiliti

Appunti sull’eventuali radici dada, jazz e letterarie del ’68

Quando parliamo degli eventi nati dal ’68 ci troviamo di fronte ad un grande caos, nel senso greco di Χάος: feditura, abisso.. Jean-Jacques Lebel, artista e poeta francese amico di Marcel Duchamp, parla di un movimento globale che affonda le proprie radici nel movimento dada: un dada in politica e come tale discontinuo, discordante, contraddittorio.

Ci troviamo a Berkeley, in California dove insegna Herbert Marcuse, l’autore del celebre Uomo ad una dimensione. Perché la California? La California ha in sé tanti substrati culturali, letterali e musicali: in California c’è Big Sur, la splendida località balneare sull’Oceano eletta a dimora e paradiso dal grande guru della letteratura americana degli anni ’30 e stiamo parlando di Henry Miller e dei suoi Tropici. Un Miller che solo in Europa, a Parigi nel 1934, trovò qualche editore disposto a sobbarcarsi le responsabilità della pubblicazione del primo dei Tropici, quello del Cancro, così discontinuo, pieno di riferimenti sessuali ed esistenziali. Il suo non è un romanzo nel vero senso della parola ma come dice lo stesso autore un «libello, calunnia, diffamazione: uno scaracchio in faccia alla Bellezza, all’arte, alla divinità»: insomma a tutto quello che è stato definito arte, fino a quel momento…

D’altro canto ci ritroviamo di fronte alla volontà di liberare, di rendere giocosi e talvolta furiosi quegli istinti sessuali finora repressi. Insomma un’estetica freudiana, il principio dell’eros che si incarna nel sentire e nel poetare di questo grande scrittore americano, un’analisi esistenziale che prende spunto da una realtà sempre più controversa che non lascia più spazio alla speranza: «continuerà a fare brutto tempo, ci saranno ancora calamità, ancora morte, ancora disperazione.
[…] Non c’è il minino segno di cambiamento. Il cancro del tempo ci divora…» 

L’arte inizia sempre di più a legarsi agli impulsi sessuali in quanto forma di protesta. Sulla stessa linea d’onda troviamo qualche anno dopo Jack Kerouac e il suo viaggio verso l’Ovest, pieno di speranza, la quale sarà ancora una volta tradita. On the road,  una spinta orizzontale verso il metafisico. La ricerca di una pienezza interiore che si rivela spesso fallimentare. Ecco gli Angeli di desolazione, ecco Big Sur, ultimo romanzo di questo genio metafisico della letteratura americana.

On the road,  una spinta orizzontale verso il metafisico

La corsa verso il nulla, la necessità di «scappare subito via o morire». Stupende quelle righe di Big Sur dove Kerouac
rende poesia quel suo malessere fisico e metafisico: «Se non mi do una mossa subito sono spacciato mi dico,
spacciato come negli ultimi tre anni di disperazione ubriaca, una disperazione fisica e spirituale e metafisica che non si può imparare a scuola per quanti libri si leggano sull’esistenzialismo o sul pessimismo, per quante tazze di ayahuasca visionaria si bevano, per quanta mescalina si prenda, per quanto peyote si ingurgiti».

Non bisogna dimenticare la spinta musicale, il jazz martellante del be-bop di Charlie Parker, dalle armonie dissonanti di Thelonius Monk. Leggiamo in On the road: «Il vento che veniva dal lago Michigan, be-bop al Loop, lunghe passeggiate intorno alla South Halsted e alla North Clarck e un’unica lunga camminata dopo la mezzanotte nei quartieri malfamati, dove un’auto della polizia mi seguì come tipo sospetto… In quest’epoca, nel 1947, il be-bop stava impazzando per tutta l’America… I ragazzi del Loop suonavano, ma con un’aria stanca, perchè il bop era a metà strada fra il periodo di Ornitologia di Charlie Parker e un altro periodo che avrebbe avuto in inizio con Miles Davis…» Il viaggio, come viaggio dell’anima attraverso i sentieri della disperazione. Charlie Parker che in California viene piuttosto rinchiuso nell’ospedale di Camarillo, dove si va a rilassare.

Nel mentre in California stava per avere inizio la stagione musicale bianca: Chet Baker è alle porte col suo jazz melodico, trasognante, bianco… Il ragazzo di Almost Blue, di Immagination, di Moon & Sand… Un jazz sempre più amoroso, sempre più disimpegnato ed idilliaco, Let’s get lost, lasciamoci andare, perdiamoci, galleggiamo.

Nei campus, dal Vietnam, giunge la foto di una bambina per strada, bruciata dal napalm… I nuovi media hanno grande forza, trasmettono in maniera martellante, la guerra è ormai in diretta. I ragazzi non vogliono più morire per Saigon:
lo Stato non ha più il diritto sulla vita dei propri cittadini. La nuova sensibilità post-moderna, il tremore per una bomba atomica sempre pronta a scoppiare, l’affermazione dell’individualismo… Marcuse vuole appoggiare i ragazzi, aiutarli nelle loro formulazioni, fornire loro una guida pratica che vada oltre l’emotività. Teddy Adorno invece, come mi disse un pomeriggio Michele Lenoci (ordinario di Filosofia Contemporanea alla Cattolica di Milano)  era un professore tedesco di vecchio stampo: per lui era inconcepibile un’analisi militante…

Teddy, contestato a Francoforte dai propri studenti, reagì tedescamente. Lo scontro fu frontale. Si trattò di una vera e propria escalation: Gli studenti furono capeggiati da quello che era stato uno dei migliori allievi di Adorno, da colui che, dicono, era l’unica testa filosofica del movimento, Hans Jurgen Krahl (poi scomparso prematuramente nel 1970 a seguito di un incidente automobilistico). Arriviamo al 31 gennaio 1969: a fronte dell’occupazione dell’Istituto di Francoforte
avvenne “il sommo tradimento” di Adorno che chiamò la polizia e fece sgombrare le aule dell’Institut fur Sozialforschung… Si trattò della rottura definitiva fra studenti che si opponevano e teorici critici ma anche la fine del movimento studentesco in Germania in quanto tale.

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Autore

(Ragusa, 1988). Post-doctoral Fellow della University of Toronto si è laureato in Filologia Moderna all’Università Cattolica di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Catania. Collaboratore del Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca della Cattolica di Milano (CRELEB) e, nel 2018, del PRISMES (Langues, Textes, Arts et Cultures du Monde anglophone) dell’Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3, si occupa di Libri d’artista e Letteratura Futurista, Disability Studies e Food Studies. Fra le sue pubblicazioni: Dalla parte del lettore: Diceria dell’untore fra esegesi e ebook, Baglieri (Vittoria, 2012); La totalità della parola. Origini e prospettive culturali dell’editoria digitale, Baglieri (Vittoria, 2014); Io siamo già in troppi, libro d’artista di poesie plastiche plastificate galleggianti per il Global Warming, KreativaMente (Ragusa, 2020); Ultima notte in Derbylius, Babbomorto editore (Imola, 2020); All’ombra del vulcano. Il Futurismo in Sicilia e l’Etna di Marinetti, Olschki (Firenze, 2020). Curatore del volume Le Carte e le Pagine. Fonti per lo studio dell’editoria novecentesca, Unicopli (Milano 2017), ha tradotto per il CRELEB le Nuove osservazioni sull’attività scrittoria nel Vicino Oriente antico di Scott B. Noegel (Milano, 2014). Ha pubblicato un racconto dal titolo Odisseo, all’interno della silloge su letteratura e disabilità La mia storia ti appartiene, Edizioni progetto cultura (Roma 2014). Come giornalista pubblicista, ha scritto per il «Corriere canadese» (Toronto), «El boletin. Club giuliano dalmato» (Toronto), «Civiltà delle macchine» (Roma), l’«Intellettuale Dissidente» (Roma), «Torquemada» (Milano), «Emergenze» (Perugia), «Operaincerta» (Modica), e «Insieme» (Ragusa) dal gennaio del 2010.



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