Cultura

Pubblicato il 20 Dicembre 2015 | di Andrea G.G. Parasiliti

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Ciccio Sultano, Telesio Interlandi e la Biblioteca di via Senato

 

 

Prima che l’anno muoia, (e quest’anno) assai ansiosamente, una cosa bisogna pure dirla. Nel numero di ottobre del Giornale della Biblioteca di via Senato, fra gli articoli del giornale di quella biblioteca che ormai non c’è più, ci sono 2 ragusani sebbene il primo di adozione: Ciccio Sultano e Telesio Interlandi. Così, per doppio gioco. Rapsodia dei Monti Iblei.

– Mi arrivava a casa fino a qualche anno fa – parte il professore – Ma continua a uscire?
– Sì! Sì! Esce. Certo che esce.
– Ma come fa a continuare a uscire?
– Boh! Quelli hanno molta passione. Ma l’importante è che esca, no?
– Certo, ma ci vuole la passione come ci vogliono i pīccioli.

Due battute due, sì. Quelle scambiai sul Giornale della Biblioteca di Marcello dell’Utri con Silvano Nigro quella mattina di metà luglio al caffé Prestipino di Catania. Io lo sapevo che doveva uscire qualcosa. Qualcosa anche di scritto bene. Forse a ottobre. Forse a Novembre. Ma insomma, doveva uscire.

Lo sapevo perché a giugno e a luglio, con Massimo Gatta, bibliotecario all’Università del Molise, direttore della casa editrice Biblohaus, collaboratore della Domenica del Sole, ci sentivamo cinque volte al giorno. Ché la tarda primavera del 2015 fu tutto un periodo, per me, di confronto sull’editoria italiana fra le due guerre. Poi, avendo saputo che sono cresciuto a Chiaramonte Gulfi, Gatta mi rivelò che stava scrivendo un articolo su Telesio Interlandi in occasione dei 50 anni dalla sua morte. «50 anni! Mi parevano di più…» mi dice, una sera d’agosto, Buttafuoco a Playa Grande incrociandoci nel viale delle Rose con i sacchi dell’immondizia in mano. Lui a piedi, io in macchina.

Il fatto fu, anche, che Gatta aveva saputo che nel 1998 a Chiaramonte Gulfi, si era tenuto un convegno su Telesio Interlandi dal sottotitolo “Il giornalista l’intellettuale lo scrittore”. Uno di quei convegni finiti a bastonate, di fronte alla Giuseppina Bonaparte che se la rideva beata e in silenzio, come sempre del resto, fresca una rosa, dentro la fontana del paese.

E siccome Massimo Gatta le cose le sa tutte, cercava un librettino con gli atti di quel convegno. Introvabili. Come molte delle cose che riguardano l’Interlandi. È difficile oggigiorno trovare anche quel libro di Giampiero Mughini, “In via della Mercede c’era un razzista”, Rizzoli 1990. E infatti non furono atti, quelli, che si poterono rintracciare. Ché la tipografia Baglieri di Comiso, durante un trasloco, perdette l’archivio. Ci rivolgemmo, come logico sia, alla Biblioteca Comunale di Chiaramonte Gulfi e manco lì gli Atti saltarono fuori tutti balzosi: “siamo qui, in questo scaffale! Eilà! siamo proprio qui!”.
E arrivammo a sudare freddo, in quel pomeriggio di inizio estate, un freddo da incubo mattutino, quando, parlando con l’onorevole Gurrieri, ai tempi del convegno sindaco del paese dell’Interlandi, a questi venne il dubbio borgesiano che gli atti forse, non fossero mai stati stampati: “Litigammo con Nello Musumeci. Dovevamo spartici la spesa per la presenza di Mughini e poi lo pagammo di tasca nostra… Ma tu, per sì e per no, chiedi al professore Cultrera”.

Adesso, il lettore deve sapere che il professore Giuseppe Cultrera è la memoria vivente, narrante e passeggiante (sotto le stelle) di Chiaramonte Gulfi. Basta una telefonata e la sua memoria si inabissa, per poi tramutarsi in un suono intellegibile all’orecchio, come un juke box di storie patrie. E fu così che gli Atti riapparvero.

L’altra notte controllo. È uscito, sì! Finalmente, è uscito! Ah! È uscito l’articolo di Massimo Gatta. Sì, quello sull’Interlandi. Telesio? Sì, Telesio. Ma chi? Quello della difesa della razza? Sì! Il razzista di via della Mercede. E dirigeva anche Il Tevere…

Ma poi vallo a spiegare che in quegli anni tutti scrivevamo per lui. Vitaliano Brancati, Indro Montanelli, Antonio Bruno (ma chi se li ricorda i suoi Fuochi di Bengala?) e ci qui ci fermiamo che l’elenco diventerebbe troppo lungo. Diciotto chilometri di nomi, più o meno. Tanti quanti i chilometri di parole ricorda di aver scritto, l’Interlandi, in un tutta quella vita di carta e di fuoco, nel suo ultimo libro, Così per doppio gioco. Rapsodia di una generazione. Finito di scrivere a Taormina nel 1960. Dopo quindici. Quindici anni. 15. Da quando gli scivolò la penna di mano.

Io, di mio, l’avevo sempre sospettato che Ragusa, provincia tanto babba, non era. O forse no. Ma forse sì. FullSizeRenderBabba sì, ma per non pagare il dazio. Babba sì, ma per non andare in guerra (eppure Marinetti stampava a Ragusa il giorno prima dell’entrata in guerra del 1915). Solo che poi, morto il primo babbo che sapeva e anche il secondo che qualcosa la ricordava ma, come il primo, non la diceva e, via via, che il tempo passa e falcia gli uomini meglio degli aiutanti del califfo del nuovo millennio, tutti i babbi muoiono e le cose si dimenticano. E a generarsi poi, sono gli ignoranti. Con tutto quel mareggiare di future generazioni annoiate, ma genuine, come il pane di casa e il vino del contadino, diceva un tale. Quel tale che si metteva dalla parte degli Infedeli, di quelli che se ottenevamo sedi cardinalizie, le ottenevano a Leontopoli, a casa di Cristo, mica a Roma. Quel tale – continuiamo a chiamarlo “quel tale” anche se il lettore lo ha capito che di Sciascia stiamo parlando – quel tale dicevamo che sull’Interlandi stava scrivendo il suo ultimo romanzo.

Cicco Sultano e Telesio Interlandi, dunque, nel numero di ottobre del Giornale della Biblioteca di via Senato di Marcello Dell’Utri. La Sicilia che vorremmo, dell’eccellenza culinaria il primo, e quella che abbiamo voluto far finta che non fosse mai esistita, il secondo. Il sole e il meteorite, il presentabile e l’impresentabile, sulle pagine dello stesso giornale, di Marcello Dell’Utri. Comunque due cuochi. Ché anche le redazioni avevano la loro cucina, almeno a quei tempi.

L’anno si accinge a morire, assai ansiosamente. Ma forse potevo aspettare a scrivere questo pezzo. “C’è tēmpo! C’è tēmpo!” mi ripeteva una mattina sì, e l’altra pure Enrico De Mita, alle 8 in punto (le volte in cui mi svegliavo) mentre lui, il tributarista emerito, fratello di Ciriaco, si mescolava con fare placido il caffé, quello delle macchinette del Collegio Augustinianum a Milano, nella cucina del piano interrato.

C’è tēmpo sì, ché da noi il tempo non passa mai. E di certa gente non si potrà mai parlare. C’è tēmpo sì, ché Venezia ci impigrisce e ci demoralizza. E non solo per la buonanima di Valeria. Ché siamo in ritardo, dice Corto Maltese a Boccadorata: “Oggi è il 34 dicembre e il primo dell’anno non è ancora arrivato”.

 

 

 

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Autore

(Ragusa, 1988). Post-doctoral Fellow della University of Toronto si è laureato in Filologia Moderna all’Università Cattolica di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Catania. Collaboratore del Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca della Cattolica di Milano (CRELEB) e, nel 2018, del PRISMES (Langues, Textes, Arts et Cultures du Monde anglophone) dell’Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3, si occupa di Libri d’artista e Letteratura Futurista, Disability Studies e Food Studies. Fra le sue pubblicazioni: Dalla parte del lettore: Diceria dell’untore fra esegesi e ebook, Baglieri (Vittoria, 2012); La totalità della parola. Origini e prospettive culturali dell’editoria digitale, Baglieri (Vittoria, 2014); Io siamo già in troppi, libro d’artista di poesie plastiche plastificate galleggianti per il Global Warming, KreativaMente (Ragusa, 2020); Ultima notte in Derbylius, Babbomorto editore (Imola, 2020); All’ombra del vulcano. Il Futurismo in Sicilia e l’Etna di Marinetti, Olschki (Firenze, 2020). Curatore del volume Le Carte e le Pagine. Fonti per lo studio dell’editoria novecentesca, Unicopli (Milano 2017), ha tradotto per il CRELEB le Nuove osservazioni sull’attività scrittoria nel Vicino Oriente antico di Scott B. Noegel (Milano, 2014). Ha pubblicato un racconto dal titolo Odisseo, all’interno della silloge su letteratura e disabilità La mia storia ti appartiene, Edizioni progetto cultura (Roma 2014). Come giornalista pubblicista, ha scritto per il «Corriere canadese» (Toronto), «El boletin. Club giuliano dalmato» (Toronto), «Civiltà delle macchine» (Roma), l’«Intellettuale Dissidente» (Roma), «Torquemada» (Milano), «Emergenze» (Perugia), «Operaincerta» (Modica), e «Insieme» (Ragusa) dal gennaio del 2010.



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